La testimonianza di un compagno anarchico
Traduzione di Boudjemaa Sedira
Teheran sotto le bombe: testimonianza di un compagno anarchico
Da Teheran, un attivista anarchico testimonia gli scioperi israeliani, il caos quotidiano e il ruolo che gli anarchici cercano di svolgere tra guerra, repressione e sopravvivenza. Un racconto toccante che ho tradotto con le lacrime agli occhi. Il mio pensiero va a coloro che, da entrambe le parti, combattono per la pace e la libertà! Ai disertori, gli unici eroi della guerra!
Caos Senza Frontiere
14 giugno 2025, 12:25
Una notte di fuoco e confusione
Ieri notte, mentre dormivamo, Israele ha attaccato l'Iran. Gli attacchi hanno preso di mira Teheran, ma anche altre città. Ho sentito brontolii, ho visto lampi: ho pensato fosse un temporale. Niente faceva pensare a una guerra, soprattutto con le discussioni tra Iran e Stati Uniti.
Solo stamattina, attraverso il nostro sindacato anarchico (il Fronte Anarchico), abbiamo appreso cosa era realmente accaduto: molteplici attacchi, morti tra i civili. Sono uscito per indagare. La città era transennata. L'esercito e la polizia bloccavano l'accesso alle zone colpite. Bombe inesplose giacevano ancora negli edifici. In ospedale, mi è stato impedito di entrare e la polizia ha cancellato tutte le foto dal mio telefono. Secondo un giornalista presente sul posto, almeno sette bambini sono stati uccisi.
Alcuni piangevano. Altri – prevedibilmente – gioivano per la morte di esponenti del regime.
Il giorno dopo: un inferno senza allarmi
Nelle ore successive, ho visto scene apocalittiche. Il cielo era striato di missili. Il fuoco cadeva sulle strade. La gente fuggiva da Teheran: intere famiglie, giovani lavoratori, anziani. Aspettavamo aiuto sui marciapiedi. Feriti, ustionati, due morti davanti ai miei occhi. Nessun allarme. Nessun riparo. Niente.
I maxi schermi trasmettevano la versione ufficiale: la Repubblica Islamica aveva colpito Tel Aviv, Israele aveva promesso di reagire. Ho dei compagni lì. Anarchici, pacifisti, coloro che si rifiutano di servire. Non vogliamo questa guerra.
Una popolazione in modalità sopravvivenza
L'aria è inquinata: gli impianti nucleari sono stati colpiti. La gente sta inscatolando, accumulando scorte, fuggendo dalle grandi città... per poi tornare, in mancanza di alternative. Le strade sono congestionate. I media statali cantano inni e trasmettono menzogne. Unica fonte affidabile : Telegram e canali satellitari.
Le manifestazioni sono ancora rare. Troppa polizia, troppa paura. Ieri, davanti agli ospedali, le famiglie cercavano i loro cari scomparsi. Abbiamo urlato. Abbiamo pianto. Abbiamo resistito.
Nessun rifugio, nessuna evacuazione.
Le istituzioni rimangono aperte come se nulla fosse successo. Non ci sono istruzioni di sicurezza, né sirene, né centri di accoglienza. Le perdite chimiche sono probabili, ma non ci sono protocolli in atto.
Così, la gente diserta di propria iniziativa: le aziende chiudono, gli studenti si rifiutano di sostenere gli esami, i dipendenti pubblici restano a casa. Solo i servizi di emergenza sono ancora in piedi.
A volte mi sento ancora vivo solo perché Israele non sta (ancora) colpendo le zone residenziali. Ma gli incendi, le ricadute radioattive, i colpi vaganti continuano comunque a uccidere persone.
E non c'è aiuto. Niente. Nessun supporto umanitario, nessuna organizzazione esterna, nessuna medicina – e le sanzioni stanno già uccidendo da anni.
Quattro Iran, una terra sotto le bombe
È importante capire che il popolo iraniano è frammentato:
1. Una maggioranza silenziosa, che odia il regime ma rifiuta la guerra. Sopravvive, fugge, piange i morti maledicendo i leader.
2. Gli islamisti, fedeli al governo, che parlano di martirio e vogliono vendicarsi.
3. I monarchici e i liberali, spesso filo-israeliani, che applaudono gli attacchi contro le Guardie Rivoluzionarie. 4. Gli anarchici e gli attivisti di sinistra, come noi: contro la Repubblica Islamica, ma anche contro Israele, contro tutti gli stati. Per la sopravvivenza, l'aiuto reciproco, l'autonomia.
Traduzione di Boudjemaa Sedira
Teheran sotto le bombe: testimonianza di un compagno anarchico
Da Teheran, un attivista anarchico testimonia gli scioperi israeliani, il caos quotidiano e il ruolo che gli anarchici cercano di svolgere tra guerra, repressione e sopravvivenza. Un racconto toccante che ho tradotto con le lacrime agli occhi. Il mio pensiero va a coloro che, da entrambe le parti, combattono per la pace e la libertà! Ai disertori, gli unici eroi della guerra!
Caos Senza Frontiere
14 giugno 2025, 12:25
Una notte di fuoco e confusione
Ieri notte, mentre dormivamo, Israele ha attaccato l'Iran. Gli attacchi hanno preso di mira Teheran, ma anche altre città. Ho sentito brontolii, ho visto lampi: ho pensato fosse un temporale. Niente faceva pensare a una guerra, soprattutto con le discussioni tra Iran e Stati Uniti.
Solo stamattina, attraverso il nostro sindacato anarchico (il Fronte Anarchico), abbiamo appreso cosa era realmente accaduto: molteplici attacchi, morti tra i civili. Sono uscito per indagare. La città era transennata. L'esercito e la polizia bloccavano l'accesso alle zone colpite. Bombe inesplose giacevano ancora negli edifici. In ospedale, mi è stato impedito di entrare e la polizia ha cancellato tutte le foto dal mio telefono. Secondo un giornalista presente sul posto, almeno sette bambini sono stati uccisi.
Alcuni piangevano. Altri – prevedibilmente – gioivano per la morte di esponenti del regime.
Il giorno dopo: un inferno senza allarmi
Nelle ore successive, ho visto scene apocalittiche. Il cielo era striato di missili. Il fuoco cadeva sulle strade. La gente fuggiva da Teheran: intere famiglie, giovani lavoratori, anziani. Aspettavamo aiuto sui marciapiedi. Feriti, ustionati, due morti davanti ai miei occhi. Nessun allarme. Nessun riparo. Niente.
I maxi schermi trasmettevano la versione ufficiale: la Repubblica Islamica aveva colpito Tel Aviv, Israele aveva promesso di reagire. Ho dei compagni lì. Anarchici, pacifisti, coloro che si rifiutano di servire. Non vogliamo questa guerra.
Una popolazione in modalità sopravvivenza
L'aria è inquinata: gli impianti nucleari sono stati colpiti. La gente sta inscatolando, accumulando scorte, fuggendo dalle grandi città... per poi tornare, in mancanza di alternative. Le strade sono congestionate. I media statali cantano inni e trasmettono menzogne. Unica fonte affidabile : Telegram e canali satellitari.
Le manifestazioni sono ancora rare. Troppa polizia, troppa paura. Ieri, davanti agli ospedali, le famiglie cercavano i loro cari scomparsi. Abbiamo urlato. Abbiamo pianto. Abbiamo resistito.
Nessun rifugio, nessuna evacuazione.
Le istituzioni rimangono aperte come se nulla fosse successo. Non ci sono istruzioni di sicurezza, né sirene, né centri di accoglienza. Le perdite chimiche sono probabili, ma non ci sono protocolli in atto.
Così, la gente diserta di propria iniziativa: le aziende chiudono, gli studenti si rifiutano di sostenere gli esami, i dipendenti pubblici restano a casa. Solo i servizi di emergenza sono ancora in piedi.
A volte mi sento ancora vivo solo perché Israele non sta (ancora) colpendo le zone residenziali. Ma gli incendi, le ricadute radioattive, i colpi vaganti continuano comunque a uccidere persone.
E non c'è aiuto. Niente. Nessun supporto umanitario, nessuna organizzazione esterna, nessuna medicina – e le sanzioni stanno già uccidendo da anni.
Quattro Iran, una terra sotto le bombe
È importante capire che il popolo iraniano è frammentato:
1. Una maggioranza silenziosa, che odia il regime ma rifiuta la guerra. Sopravvive, fugge, piange i morti maledicendo i leader.
2. Gli islamisti, fedeli al governo, che parlano di martirio e vogliono vendicarsi.
3. I monarchici e i liberali, spesso filo-israeliani, che applaudono gli attacchi contro le Guardie Rivoluzionarie. 4. Gli anarchici e gli attivisti di sinistra, come noi: contro la Repubblica Islamica, ma anche contro Israele, contro tutti gli stati. Per la sopravvivenza, l'aiuto reciproco, l'autonomia.
Le Père Peinard
Téhéran sous les bombes : témoignage d'une camarade anarchiste - Le Père Peinard
Depuis Téhéran, une militante anarchiste témoigne des frappes israéliennes, du chaos quotidien, et du rôle que tentent de jouer les anarchistes entre guerre, répression et survie. Un récit poignant que j'ai traduit des larmes dans les yeux. Toutes mes pensées…
Ma soprattutto, rifiutate le narrazioni semplicistiche. Non siamo né pedine di Israele né pedine del regime islamico. Non crediamo né nelle bombe "liberatorie" né nei mullah "resistenti". Siamo intrappolati tra due macchine di morte e continuiamo a cercare, ancora e ancora, di costruire qualcosa di diverso.
Non c'è ancora un esodo di massa. Ma se la guerra si estende, le conseguenze saranno spaventose. Quindi, compagni, solleviamoci insieme. Non per sostenere una parte contro l'altra, ma per far sentire un'altra voce: quella della vita, della libertà e della solidarietà, contro tutti gli stati, tutti i confini e tutte le guerre.
https://www.leperepeinard.com/articles/teheran-sous-les-bombes-temoignage-dune-camarade-anarchiste/?fbclid=IwY2xjawK714xleHRuA2FlbQIxMABicmlkETBQQ2MxT09hcDdmZFlCOVNIAR5pyFbDJ_4O-2vUdqSjvZKg60_-tdcS_imEuEjXVH1mZf83ODsDFlPbQLoyUA_aem_zz3VdDFSzItj1fVD0wbT0w
Non c'è ancora un esodo di massa. Ma se la guerra si estende, le conseguenze saranno spaventose. Quindi, compagni, solleviamoci insieme. Non per sostenere una parte contro l'altra, ma per far sentire un'altra voce: quella della vita, della libertà e della solidarietà, contro tutti gli stati, tutti i confini e tutte le guerre.
https://www.leperepeinard.com/articles/teheran-sous-les-bombes-temoignage-dune-camarade-anarchiste/?fbclid=IwY2xjawK714xleHRuA2FlbQIxMABicmlkETBQQ2MxT09hcDdmZFlCOVNIAR5pyFbDJ_4O-2vUdqSjvZKg60_-tdcS_imEuEjXVH1mZf83ODsDFlPbQLoyUA_aem_zz3VdDFSzItj1fVD0wbT0w
Le Père Peinard
Téhéran sous les bombes : témoignage d'une camarade anarchiste - Le Père Peinard
Depuis Téhéran, une militante anarchiste témoigne des frappes israéliennes, du chaos quotidien, et du rôle que tentent de jouer les anarchistes entre guerre, répression et survie. Un récit poignant que j'ai traduit des larmes dans les yeux. Toutes mes pensées…
Forwarded from Cronache Ribelli
Il 14 giugno 2008 Giuseppe Uva insieme al suo amico Alberto Biggiogero gira per Varese. I due, sotto l’effetto di alcool, spostano per goliardia alcune transenne in via Dandolo come a chiudere la strada e fanno baccano. Qualcuno chiama le forze dell’ordine.
Ad accorrere sul posto sono due carabinieri, uno di loro, secondo la testimonianza di Biggiogero, avrebbe detto ”Uva proprio te cercavo stanotte, questa non te la faccio passare liscia, questa te la faccio pagare!”. Da qui in poi le testimonianze dei militari e quelle di Biggiogero divergono. Secondo i carabinieri Uva avrebbe fatto resistenza violentemente, per Biggiogero cercò solo di non farsi prendere e fu malmenato dagli agenti.
Sopraggiunsero sul posto anche due volanti della polizia: Biggiogiero viene preso da loro, mentre Uva è portato in caserma dai carabinieri. Non si vedranno più, ma Alberto dice di sentire le urla dell’amico. Vorrebbe intervenire ma viene minacciato. Dal suo cellulare allerta il 118 ma quando dal pronto soccorso chiamano la caserma, la richiesta viene annullata. Alle 6 però sono gli stessi carabinieri a chiamare il 118. Dopo quattro ore Giuseppe Uva muore in ospedale per arresto cardiaco. La sorella fa un esposto alla procura, da cui parte un’indagine che porta al rinvio a giudizio diverse persone. Prima i medici dell’ospedale, tuttavia varie perizie dimostreranno che la cura somministrata in ospedale era corretta. Poi è la volta dei due carabinieri e di sei poliziotti, incriminati per omicidio preterintenzionale, arresto illegale e abuso d’autorità. In questa fase il Procuratore Capo toglie ai PM il caso poiché questi ultimi avrebbero appositamente non rispettato le impostazioni del GIP, costruendo imputazioni deboli e contraddittorie.
Parte infine nel 2014 il processo: la corte di Varese assolve tutti in primo grado.
Il 31 maggio del 2018 la prima sezione della Corte d’Assise d’Appello di Milano assolve nuovamente i due carabinieri e i sei poliziotti.
Le lesioni sul corpo di Giuseppe e le testimonianze sulle violenze non sono tenute in considerazione. Viene stabilito che “non si può individuare con assoluta certezza che cosa abbia scatenato lo stress che, insieme ad altre concause, avrebbe provocato la morte di Giuseppe Uva, già affetto da una grave patologia cardiaca” (fino ad allora sconosciuta a tutti).
Nel 2021 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha considerato ammissibile il ricorso presentato dalla famiglia Uva. Dagli atti, come in altre pronunce, si evince che l’Italia risulta essere un paese dove non sono rispettati i diritti umani e lo stato si adopera per impedire che a livello giudiziario si faccia chiarezza su vicende di abusi praticate da suoi appartenenti.
Cronache Ribelli
Sui morti nelle mani dello stato abbiamo scritto il nostro ultimo libro, intitolato appunto "Morire di stato". Lo trovi qui: https://cronacheribelli.it/products/morire-di-stato-365-vittime-dellitalia-repubblicana
Ad accorrere sul posto sono due carabinieri, uno di loro, secondo la testimonianza di Biggiogero, avrebbe detto ”Uva proprio te cercavo stanotte, questa non te la faccio passare liscia, questa te la faccio pagare!”. Da qui in poi le testimonianze dei militari e quelle di Biggiogero divergono. Secondo i carabinieri Uva avrebbe fatto resistenza violentemente, per Biggiogero cercò solo di non farsi prendere e fu malmenato dagli agenti.
Sopraggiunsero sul posto anche due volanti della polizia: Biggiogiero viene preso da loro, mentre Uva è portato in caserma dai carabinieri. Non si vedranno più, ma Alberto dice di sentire le urla dell’amico. Vorrebbe intervenire ma viene minacciato. Dal suo cellulare allerta il 118 ma quando dal pronto soccorso chiamano la caserma, la richiesta viene annullata. Alle 6 però sono gli stessi carabinieri a chiamare il 118. Dopo quattro ore Giuseppe Uva muore in ospedale per arresto cardiaco. La sorella fa un esposto alla procura, da cui parte un’indagine che porta al rinvio a giudizio diverse persone. Prima i medici dell’ospedale, tuttavia varie perizie dimostreranno che la cura somministrata in ospedale era corretta. Poi è la volta dei due carabinieri e di sei poliziotti, incriminati per omicidio preterintenzionale, arresto illegale e abuso d’autorità. In questa fase il Procuratore Capo toglie ai PM il caso poiché questi ultimi avrebbero appositamente non rispettato le impostazioni del GIP, costruendo imputazioni deboli e contraddittorie.
Parte infine nel 2014 il processo: la corte di Varese assolve tutti in primo grado.
Il 31 maggio del 2018 la prima sezione della Corte d’Assise d’Appello di Milano assolve nuovamente i due carabinieri e i sei poliziotti.
Le lesioni sul corpo di Giuseppe e le testimonianze sulle violenze non sono tenute in considerazione. Viene stabilito che “non si può individuare con assoluta certezza che cosa abbia scatenato lo stress che, insieme ad altre concause, avrebbe provocato la morte di Giuseppe Uva, già affetto da una grave patologia cardiaca” (fino ad allora sconosciuta a tutti).
Nel 2021 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha considerato ammissibile il ricorso presentato dalla famiglia Uva. Dagli atti, come in altre pronunce, si evince che l’Italia risulta essere un paese dove non sono rispettati i diritti umani e lo stato si adopera per impedire che a livello giudiziario si faccia chiarezza su vicende di abusi praticate da suoi appartenenti.
Cronache Ribelli
Sui morti nelle mani dello stato abbiamo scritto il nostro ultimo libro, intitolato appunto "Morire di stato". Lo trovi qui: https://cronacheribelli.it/products/morire-di-stato-365-vittime-dellitalia-repubblicana
Cronache Ribelli
Morire di Stato - 365 vittime dell'Italia repubblicana
IN PREVENDITA - SPEDIZIONI A PARTIRE DALL'11 GIUGNO In omaggio con le prime 150 copie la spilletta "Sappiamo chi è stato". In Italia, dal 1945 a oggi, centinaia di persone hanno perso la vita in circostanze che coinvolgono direttamente o indirettamente apparati…
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"De la capacidad política de la clase obrera" es una obra póstuma fundamental de Pierre-Joseph Proudhon, considerada su testamento político e ideológico. Escrita poco antes de su muerte en 1865, esta obra resume y profundiza en muchas de sus ideas clave, especialmente en lo que respecta al papel y la emancipación de la clase trabajadora.
Temas y Conceptos Clave
El libro se centra en la idea de que la clase obrera tiene una capacidad política inherente y propia para su emancipación, que no debe ser delegada ni subordinada a otras clases o al Estado. Proudhon argumenta que para que una clase social pueda actuar de manera autónoma y efectiva en la esfera política, necesita cumplir tres condiciones fundamentales:
* Conciencia de sí misma: Los trabajadores deben ser conscientes de su propia identidad como clase, de sus intereses, su dignidad y su valor en la sociedad. Deben reconocerse como un grupo con intereses distintos y, a menudo, opuestos a los de la clase burguesa.
* Afirmación de su "idea": Una vez que la clase obrera ha desarrollado conciencia de sí misma, debe articular y comprender su propia visión del orden social y económico. Esta "idea" proudhoniana se basa en los principios de mutualismo, federación y autogestión.
* Capacidad de acción práctica: La clase obrera debe ser capaz de llevar a la práctica su "idea", es decir, de organizar y construir las instituciones necesarias para su emancipación sin depender de la intervención estatal o de la guía de otras clases.
Críticas y Propuestas
Proudhon critica duramente tanto el sistema capitalista (basado en la propiedad privada que genera explotación) como las soluciones centralizadoras y autoritarias propuestas por algunos socialistas de su época (como las que llevarían a la estatización de la economía). Él advierte que la concentración de poder, ya sea en manos de capitalistas o de un Estado todopoderoso, siempre termina en opresión.
En contraste, Proudhon propone el mutualismo como base de un nuevo orden social. Esto implica:
* Propiedad limitada y posesión: La propiedad no sería un derecho absoluto para explotar a otros, sino una posesión que permite al individuo o a la asociación de trabajadores controlar sus medios de producción.
* Asociaciones de trabajadores: Los obreros se organizarían en cooperativas y asociaciones que funcionarían bajo principios de reciprocidad y justicia.
* Crédito mutuo: Se establecerían bancos de intercambio que permitirían a los productores obtener crédito sin intereses.
* Federalismo: A nivel político, Proudhon aboga por una organización federal de abajo hacia arriba, donde las comunas autónomas se federen libremente, diluyendo el poder centralizado del Estado.
Relevancia y Legado
El libro es una llamada a la autonomía obrera y un rechazo a la idea de que la clase trabajadora necesita ser "liberada" por una élite o un partido político. Para Proudhon, la emancipación de los trabajadores debía ser obra de ellos mismos.
"De la capacidad política de la clase obrera" es, en esencia, un manual para la acción política independiente del proletariado, delineando los principios sobre los cuales los trabajadores podrían construir una sociedad justa y libre, basada en la asociación voluntaria y la federación, lejos de la dominación del capital y del Estado. Su influencia fue considerable en el movimiento obrero francés y en el desarrollo del sindicalismo revolucionario y del anarquismo.
¿Hay alguna otra obra de Proudhon o algún otro pensador de la época que te interese conocer?
Temas y Conceptos Clave
El libro se centra en la idea de que la clase obrera tiene una capacidad política inherente y propia para su emancipación, que no debe ser delegada ni subordinada a otras clases o al Estado. Proudhon argumenta que para que una clase social pueda actuar de manera autónoma y efectiva en la esfera política, necesita cumplir tres condiciones fundamentales:
* Conciencia de sí misma: Los trabajadores deben ser conscientes de su propia identidad como clase, de sus intereses, su dignidad y su valor en la sociedad. Deben reconocerse como un grupo con intereses distintos y, a menudo, opuestos a los de la clase burguesa.
* Afirmación de su "idea": Una vez que la clase obrera ha desarrollado conciencia de sí misma, debe articular y comprender su propia visión del orden social y económico. Esta "idea" proudhoniana se basa en los principios de mutualismo, federación y autogestión.
* Capacidad de acción práctica: La clase obrera debe ser capaz de llevar a la práctica su "idea", es decir, de organizar y construir las instituciones necesarias para su emancipación sin depender de la intervención estatal o de la guía de otras clases.
Críticas y Propuestas
Proudhon critica duramente tanto el sistema capitalista (basado en la propiedad privada que genera explotación) como las soluciones centralizadoras y autoritarias propuestas por algunos socialistas de su época (como las que llevarían a la estatización de la economía). Él advierte que la concentración de poder, ya sea en manos de capitalistas o de un Estado todopoderoso, siempre termina en opresión.
En contraste, Proudhon propone el mutualismo como base de un nuevo orden social. Esto implica:
* Propiedad limitada y posesión: La propiedad no sería un derecho absoluto para explotar a otros, sino una posesión que permite al individuo o a la asociación de trabajadores controlar sus medios de producción.
* Asociaciones de trabajadores: Los obreros se organizarían en cooperativas y asociaciones que funcionarían bajo principios de reciprocidad y justicia.
* Crédito mutuo: Se establecerían bancos de intercambio que permitirían a los productores obtener crédito sin intereses.
* Federalismo: A nivel político, Proudhon aboga por una organización federal de abajo hacia arriba, donde las comunas autónomas se federen libremente, diluyendo el poder centralizado del Estado.
Relevancia y Legado
El libro es una llamada a la autonomía obrera y un rechazo a la idea de que la clase trabajadora necesita ser "liberada" por una élite o un partido político. Para Proudhon, la emancipación de los trabajadores debía ser obra de ellos mismos.
"De la capacidad política de la clase obrera" es, en esencia, un manual para la acción política independiente del proletariado, delineando los principios sobre los cuales los trabajadores podrían construir una sociedad justa y libre, basada en la asociación voluntaria y la federación, lejos de la dominación del capital y del Estado. Su influencia fue considerable en el movimiento obrero francés y en el desarrollo del sindicalismo revolucionario y del anarquismo.
¿Hay alguna otra obra de Proudhon o algún otro pensador de la época que te interese conocer?
Forwarded from Cronache Ribelli
Siamo a Roma, il 4 giugno 1932. Un giovane di ventiquattro anni attraversa piazza Venezia quando viene fermato da due agenti di polizia in borghese. Il ragazzo esibisce un passaporto, dice di chiamarsi Angelo Galvini e di essere un commerciante svizzero di Bellinzona, arrivato nella capitale per affari. Ma gli agenti si insospettiscono, non possiede un visto di soggiorno e sembra avere un'aria preoccupata. Così intimano al giovane di seguirli a Palazzo Buonaparte, dove lo perquisiscono e addosso gli trovano una pistola francese Mab calibro 6.35, due bombe artigianali, una fiaschetta con 80 grammi di cheddite e miccia ed un tubo con 400 grammi di dinamite e miccia.
La storia del commerciante di Bellinzona è ormai insostenibile.
Il giovane, poi accompagnato in questura e sottoposto ad un durissimo interrogatorio, confessa la sua vera identità e il motivo per cui si trova a Roma. Si chiama Angelo Pellegrino Sbardellotto e vuole uccidere Benito Mussolini.
Il ragazzo aveva pensato di freddare il duce nel corso del tragitto che la sua auto doveva compiere quel 4 giugno, quando il capo del Governo aveva partecipato all’inaugurazione del monumento e alla traslazione delle ceneri di Anita Garibaldi. Ma un cambio di percorso del veicolo aveva reso impossibile l’azione. Sbardellotto confessò anche di essere già stato a Roma in altre occasioni per lo stesso motivo, e di aver provato a realizzare un attentato anche il 28 ottobre 1931 per l’anniversario della marcia su Roma: si era fermato per non colpire degli innocenti.
Nella stessa giornata fu perquisita l’abitazione dei genitori di Sbardellotto e fu ritrovata una lettera nella quale egli spiegando il gesto che avrebbe compiuto scriveva: “La maggioranza ha la forza ma non la ragione. L’uomo virtuoso non comanda, non obbedisce”. Nei giorni seguenti poi la polizia fascista falsificò un memoriale in cui si attribuiva a Sbardellotto una confessione nella quale avrebbe fatto i nomi di alcuni complici. Tutto falso. Angelo, quinto di dieci figli, aveva lavorato come stalliere e a diciassette anni era emigrato in Belgio; qui, lavorando nelle miniere, si era avvicinato alle idee anarchiche, fino a maturare l’idea di uccidere Mussolini. Prima di uno dei suoi viaggi clandestini in Italia aveva scritto: "(il duce) deve rispondere delle lacrime delle madri, dell’abbandono dei figli, del sangue dei caduti, dell’agonia dei reclusi, del silenzio e della miseria di tutti”.
Il 17 giugno, dopo la condanna del Tribunale speciale, Sbardellotto viene ucciso mediante fucilazione alla schiena per aver attentato alla vita di Mussolini. Angelo si era rifiutato di presentare la grazia e al suo legale d’ufficio aveva detto: “ma che pentito e pentito, io rimpiango solo di non averlo ammazzato!”
La storia del commerciante di Bellinzona è ormai insostenibile.
Il giovane, poi accompagnato in questura e sottoposto ad un durissimo interrogatorio, confessa la sua vera identità e il motivo per cui si trova a Roma. Si chiama Angelo Pellegrino Sbardellotto e vuole uccidere Benito Mussolini.
Il ragazzo aveva pensato di freddare il duce nel corso del tragitto che la sua auto doveva compiere quel 4 giugno, quando il capo del Governo aveva partecipato all’inaugurazione del monumento e alla traslazione delle ceneri di Anita Garibaldi. Ma un cambio di percorso del veicolo aveva reso impossibile l’azione. Sbardellotto confessò anche di essere già stato a Roma in altre occasioni per lo stesso motivo, e di aver provato a realizzare un attentato anche il 28 ottobre 1931 per l’anniversario della marcia su Roma: si era fermato per non colpire degli innocenti.
Nella stessa giornata fu perquisita l’abitazione dei genitori di Sbardellotto e fu ritrovata una lettera nella quale egli spiegando il gesto che avrebbe compiuto scriveva: “La maggioranza ha la forza ma non la ragione. L’uomo virtuoso non comanda, non obbedisce”. Nei giorni seguenti poi la polizia fascista falsificò un memoriale in cui si attribuiva a Sbardellotto una confessione nella quale avrebbe fatto i nomi di alcuni complici. Tutto falso. Angelo, quinto di dieci figli, aveva lavorato come stalliere e a diciassette anni era emigrato in Belgio; qui, lavorando nelle miniere, si era avvicinato alle idee anarchiche, fino a maturare l’idea di uccidere Mussolini. Prima di uno dei suoi viaggi clandestini in Italia aveva scritto: "(il duce) deve rispondere delle lacrime delle madri, dell’abbandono dei figli, del sangue dei caduti, dell’agonia dei reclusi, del silenzio e della miseria di tutti”.
Il 17 giugno, dopo la condanna del Tribunale speciale, Sbardellotto viene ucciso mediante fucilazione alla schiena per aver attentato alla vita di Mussolini. Angelo si era rifiutato di presentare la grazia e al suo legale d’ufficio aveva detto: “ma che pentito e pentito, io rimpiango solo di non averlo ammazzato!”
Forwarded from Cronache Ribelli
L'odore acre di un corpo in decomposizione conduce al ritrovamento del cadavere di Emanuele Scieri. Lo rinvengono sotto un tavolo ai piedi di una torre, utilizzata per stendere i paracadute, nella base militare di Gamerra, vicino Pisa, campo di addestramento della Folgore.
Formalmente era scomparso tre giorni prima, il 13 agosto 1999, poco prima del contrappello delle 23:00. I parà della Folgore, dove era arrivato nel luglio del 1999, lo avevano soprannominato "avvocato". E non solo perché era laureato in legge, ma soprattutto perché difendeva sempre i suoi commilitoni. Da chi li difendeva? Dalle pratiche di nonnismo diffuse nel reparto, diceva qualcuno.
Perché la Folgore all'epoca era comandata dal generale Enrico Celentano, uno che aveva diffuso un manoscritto in cui, oltre a frasi come "o Gesù dagli occhi buoni, fa’ morir tutti i terroni", erano presenti indicazioni precise su come mettere in atto le pratiche necessarie a punire gli allievi che non erano abbastanza "duri" o che non si attenevano a certe regole non scritte.
5 E forse Emanuele era stato uno di questi. Uno a cui certe cose che accadevano in caserma non andavano giù, che non stava zitto e che non si voltava dall'altra parte. Così quando Calogero Cirneco, comandante della scuola di addestramento di Pisa, aveva detto che Emanuele era salito sulla torre ed era caduto, non tutti gli avevano creduto. "Forse voleva ammirare le luci della caserma dall'alto, oppure, che so, cercare una ricezione migliore per il telefonino". Così aveva detto Cirneco, che però non era riuscito a spiegare molte cose. Come mai, ad esempio, né il 13 né il 14 Emanuele fosse stato cercato e come mai neanche il 15, nonostante un'ispezione, il suo corpo non fosse stato rinvenuto.
Dopo anni di omertà, nel 2017 la procura di Pisa riaprì il caso a seguito del lavoro svolto da una commissione parlamentare d'inchiesta. Secondo quanto ricostruito dalla commissione e dalla magistratura, la sera del 13 agosto 1999, dopo essere stato costretto a spogliarsi e aver subito percosse, Scieri era stato obbligato a salire sulla torre di asciugatura dei paracadute. Qui i militari gli avevano premuto con gli scarponi sulle nocche delle dita, provocando la sua caduta. Dopo l’impatto i responsabili avevano cercato di occultare il corpo. Le perizie disposte dai giudici avevano accertato che il giovane era morto dopo alcune ore di agonia, e che un intervento tempestivo avrebbe potuto salvarlo.
A seguito di un lungo processo due ex caporali della Folgore, Alessandro Panella e Luigi Zabara, nel 2021 sono stati condannati per omicidio volontario aggravato in concorso per la morte di Emanuele Scieri. Sentenza confermata in appello nel 2024.
A Emanuele e ad altre 364 persone, direttamente o indirettamente uccise dalle istituzioni italiane, è dedicato il nostro ultimo libro “Morire di Stato”. Lo trovate qui: https://cronacheribelli.it/products/morire-di-stato-365-vittime-dellitalia-repubblicana?variant=55482693058939&fbclid=IwY2xjawLBN9tleHRuA2FlbQIxMABicmlkETFUVGpoZlB3QXhESERrdVlwAR7qG1evGX3eoAeDju7omU_afQd2tH-HuGyoDFRELlA8PSgiHX00OoK9__bdwg_aem_q9ZFbmClNWRo25azs0XJPg
Formalmente era scomparso tre giorni prima, il 13 agosto 1999, poco prima del contrappello delle 23:00. I parà della Folgore, dove era arrivato nel luglio del 1999, lo avevano soprannominato "avvocato". E non solo perché era laureato in legge, ma soprattutto perché difendeva sempre i suoi commilitoni. Da chi li difendeva? Dalle pratiche di nonnismo diffuse nel reparto, diceva qualcuno.
Perché la Folgore all'epoca era comandata dal generale Enrico Celentano, uno che aveva diffuso un manoscritto in cui, oltre a frasi come "o Gesù dagli occhi buoni, fa’ morir tutti i terroni", erano presenti indicazioni precise su come mettere in atto le pratiche necessarie a punire gli allievi che non erano abbastanza "duri" o che non si attenevano a certe regole non scritte.
5 E forse Emanuele era stato uno di questi. Uno a cui certe cose che accadevano in caserma non andavano giù, che non stava zitto e che non si voltava dall'altra parte. Così quando Calogero Cirneco, comandante della scuola di addestramento di Pisa, aveva detto che Emanuele era salito sulla torre ed era caduto, non tutti gli avevano creduto. "Forse voleva ammirare le luci della caserma dall'alto, oppure, che so, cercare una ricezione migliore per il telefonino". Così aveva detto Cirneco, che però non era riuscito a spiegare molte cose. Come mai, ad esempio, né il 13 né il 14 Emanuele fosse stato cercato e come mai neanche il 15, nonostante un'ispezione, il suo corpo non fosse stato rinvenuto.
Dopo anni di omertà, nel 2017 la procura di Pisa riaprì il caso a seguito del lavoro svolto da una commissione parlamentare d'inchiesta. Secondo quanto ricostruito dalla commissione e dalla magistratura, la sera del 13 agosto 1999, dopo essere stato costretto a spogliarsi e aver subito percosse, Scieri era stato obbligato a salire sulla torre di asciugatura dei paracadute. Qui i militari gli avevano premuto con gli scarponi sulle nocche delle dita, provocando la sua caduta. Dopo l’impatto i responsabili avevano cercato di occultare il corpo. Le perizie disposte dai giudici avevano accertato che il giovane era morto dopo alcune ore di agonia, e che un intervento tempestivo avrebbe potuto salvarlo.
A seguito di un lungo processo due ex caporali della Folgore, Alessandro Panella e Luigi Zabara, nel 2021 sono stati condannati per omicidio volontario aggravato in concorso per la morte di Emanuele Scieri. Sentenza confermata in appello nel 2024.
A Emanuele e ad altre 364 persone, direttamente o indirettamente uccise dalle istituzioni italiane, è dedicato il nostro ultimo libro “Morire di Stato”. Lo trovate qui: https://cronacheribelli.it/products/morire-di-stato-365-vittime-dellitalia-repubblicana?variant=55482693058939&fbclid=IwY2xjawLBN9tleHRuA2FlbQIxMABicmlkETFUVGpoZlB3QXhESERrdVlwAR7qG1evGX3eoAeDju7omU_afQd2tH-HuGyoDFRELlA8PSgiHX00OoK9__bdwg_aem_q9ZFbmClNWRo25azs0XJPg
Cronache Ribelli
Morire di Stato - 365 vittime dell'Italia repubblicana
IN PREVENDITA - SPEDIZIONI A PARTIRE DALL'11 GIUGNO In omaggio con le prime 150 copie la spilletta "Sappiamo chi è stato". In Italia, dal 1945 a oggi, centinaia di persone hanno perso la vita in circostanze che coinvolgono direttamente o indirettamente apparati…
Forwarded from Cronache Ribelli
A Genova è esplosa un’inchiesta che travolge la polizia locale. Quindici agenti del reparto di sicurezza urbana sono finiti sotto indagine per violenze, insulti razzisti, furti, fabbricazioni di prove e falsificazione di atti pubblici.
A far partire le indagini due agenti donne, colleghe degli indagati. Sono state loro a raccontare per prime alla Procura ciò che avveniva quotidianamente tra le pattuglie: pestaggi, minacce, prove manomesse.
Tutto veniva poi commentato in una chat su WhatsApp, “Quei bravi ragazzi”, dove gli agenti si scambiavano foto delle vittime e si vantavano delle violenze e della loro impunità. “Cioccolatini” era il loro codice per indicare le botte. Una “torta Sacher” significava un pestaggio riuscito. Le aggressioni venivano poi coperte con verbali falsi. Le ferite? Autolesionismo. Le denunce? Resistenza a pubblico ufficiale. In un caso, un ragazzo assolto da ogni accusa è uscito da un fermo con 21 giorni di prognosi. E se qualcuno denunciava? Tanto, come dicevano loro, nessuno gli avrebbe creduto. Quello che emerge dagli atti non sono solo botte. Gli agenti usavano la cosiddetta “tecnica del sussurro”: minacce all’orecchio, insulti razzisti, parole che servivano a umiliare e provocare. A volte sparivano soldi, oggetti personali. Le telecamere di servizio? Spente fino a operazione conclusa.
Ovviamente né il comandante né l’assessore competente, anche quando informati dei fatti, hanno fatto nulla. Gianluca Giurato e Sergio Gambino oggi sono entrambi indagati. Secondo alcune inchieste avrebbero usato la polizia locale come una milizia personale.
8 Nonostante questo quadro probatorio gli agenti non sono nemmeno stati sospesi dal servizio, ma solo trasferiti a compiti non operativi in altra destinazione. Questo accade nello stesso paese in cui chi devia dal percorso imposto dalle autorità per una manifestazione rischia anni di carcere.
Tutto ciò la dice lunga sul sistema d’impunità vigente in Italia per determinati individui. Come abbiamo sempre detto non si tratta di mele marce, ma strutture concepite per agire in un certo modo e di agenti selezionati fuori da criteri autenticamente democratici.
Col nuovo scudo penale per le forze dell’ordine, uscito dal decreto sicurezza e rientrato con una nuova proposta di legge, ogni violenza sarà di fatto legittimata e legalizzata.
A far partire le indagini due agenti donne, colleghe degli indagati. Sono state loro a raccontare per prime alla Procura ciò che avveniva quotidianamente tra le pattuglie: pestaggi, minacce, prove manomesse.
Tutto veniva poi commentato in una chat su WhatsApp, “Quei bravi ragazzi”, dove gli agenti si scambiavano foto delle vittime e si vantavano delle violenze e della loro impunità. “Cioccolatini” era il loro codice per indicare le botte. Una “torta Sacher” significava un pestaggio riuscito. Le aggressioni venivano poi coperte con verbali falsi. Le ferite? Autolesionismo. Le denunce? Resistenza a pubblico ufficiale. In un caso, un ragazzo assolto da ogni accusa è uscito da un fermo con 21 giorni di prognosi. E se qualcuno denunciava? Tanto, come dicevano loro, nessuno gli avrebbe creduto. Quello che emerge dagli atti non sono solo botte. Gli agenti usavano la cosiddetta “tecnica del sussurro”: minacce all’orecchio, insulti razzisti, parole che servivano a umiliare e provocare. A volte sparivano soldi, oggetti personali. Le telecamere di servizio? Spente fino a operazione conclusa.
Ovviamente né il comandante né l’assessore competente, anche quando informati dei fatti, hanno fatto nulla. Gianluca Giurato e Sergio Gambino oggi sono entrambi indagati. Secondo alcune inchieste avrebbero usato la polizia locale come una milizia personale.
8 Nonostante questo quadro probatorio gli agenti non sono nemmeno stati sospesi dal servizio, ma solo trasferiti a compiti non operativi in altra destinazione. Questo accade nello stesso paese in cui chi devia dal percorso imposto dalle autorità per una manifestazione rischia anni di carcere.
Tutto ciò la dice lunga sul sistema d’impunità vigente in Italia per determinati individui. Come abbiamo sempre detto non si tratta di mele marce, ma strutture concepite per agire in un certo modo e di agenti selezionati fuori da criteri autenticamente democratici.
Col nuovo scudo penale per le forze dell’ordine, uscito dal decreto sicurezza e rientrato con una nuova proposta di legge, ogni violenza sarà di fatto legittimata e legalizzata.
Forwarded from Cronache Ribelli
Sante Caserio non ne poteva più.
Sante Caserio decise di colpire, ed uccise il primo ministro francese Sadi Carnot il 24 giugno del 1894.
Ne abbiamo parlato altre volte, su questa pagina, di Sante e del suo gesto ugualmente violento e disperato. Oggi, in occasione dell'anniversario del verdetto che lo condannò a morte, vi proponiamo la bellissima lettera che questa ragazzo poco più che ventenne scrisse alla madre.
«Cara madre, vi scrivo queste poche righe per farvi sapere che la mia condanna è la pena di morte.
Non pensate [male] o mia cara madre di me? Ma pensate che se io commessi questo fatto non è che sono divenuto [un delinquente] e pure molto vi dirano che sono un assassino un malfattore. No, perché voi conosciete il mio buon cuore, la mia dolcezza, che avevo quando mi trovavo presso di voi? Ebbene anche oggi è il medesimo cuore: se ho commesso questo mio fatto è precisamente perché ero stanco di vedere un mondo così infame.
Ringrazio il signor Alessandro che è venuto a trovarmi ma io non voglio confessarmi.
Addio cara mamma e abbiate un buon ricordo del vostro Sante che vi ha sempre amato.» (Lione, 3 agosto 1894)
Raccontiamo Sante Caserio negli amanacchi Cronache Ribelli. Li trovi qui: https://cronacheribelli.it/products/antologia-di-cronache-ribelli-vol-1-vol-2-vol-3
Sante Caserio decise di colpire, ed uccise il primo ministro francese Sadi Carnot il 24 giugno del 1894.
Ne abbiamo parlato altre volte, su questa pagina, di Sante e del suo gesto ugualmente violento e disperato. Oggi, in occasione dell'anniversario del verdetto che lo condannò a morte, vi proponiamo la bellissima lettera che questa ragazzo poco più che ventenne scrisse alla madre.
«Cara madre, vi scrivo queste poche righe per farvi sapere che la mia condanna è la pena di morte.
Non pensate [male] o mia cara madre di me? Ma pensate che se io commessi questo fatto non è che sono divenuto [un delinquente] e pure molto vi dirano che sono un assassino un malfattore. No, perché voi conosciete il mio buon cuore, la mia dolcezza, che avevo quando mi trovavo presso di voi? Ebbene anche oggi è il medesimo cuore: se ho commesso questo mio fatto è precisamente perché ero stanco di vedere un mondo così infame.
Ringrazio il signor Alessandro che è venuto a trovarmi ma io non voglio confessarmi.
Addio cara mamma e abbiate un buon ricordo del vostro Sante che vi ha sempre amato.» (Lione, 3 agosto 1894)
Raccontiamo Sante Caserio negli amanacchi Cronache Ribelli. Li trovi qui: https://cronacheribelli.it/products/antologia-di-cronache-ribelli-vol-1-vol-2-vol-3
Cronache Ribelli
Antologia di Cronache Ribelli
L'Antologia di Cronache Ribelli ad un prezzo ridotto - trentasette euro invece di quarantasei. Tutti e tre gli almanacchi prodotti dal 2018 ad oggi nella loro ultima edizione, per un totale di oltre ottocento storie, trentasei illustrazioni interne e tantissime…
Forwarded from Desobediència Civil Catalunya